mercoledì 26 ottobre 2011

mercoledì 21 settembre 2011

FESTA DI SANT'AGOSTINA PIETRANTONI A POZZAGLIA SABINA (RI) 11 SETTEMBRE 2011

  Innanzitutto, occorre dire che è stata una bella festa. Partecipata e molto sentita. Sebbene Sant'Agostina, probabilmente per il fatto di essere una Santa recente, non sia ancora molto conosciuta, nei suoi devoti ha la capacità di suscitare una devozione potente. Ovvero, non è il numero dei fedeli quello che conta, ma la qualità del sentimento che anima i devoti. Che sono arrivati a Pozzaglia pieni di fede e devozione, a celebrare la loro Santa, da varie parti d'Italia. Delegazioni provenienti da vari luoghi, tra cui Civitavecchia, Cervia, Ferrara, oltre che da vari istituti sanitari, hanno partecipato alla Messa per poi passare in processione per le vie del paese, il tutto con grande devozione e rispetto. Durante la Messa, mi è piaciuta l'omelia del Vescovo. Che è stata assolutamente concreta e diretta, e da più parti ho sentito commenti di approvazione. Molto sentita, ed intima, la processione per le vie del paese il Sabato sera. Quello è stato un momento suggestivo: immagini di Santa Agostina appese in ogni vicolo, stendardi con i suoi motti (in particolare il "per Gesù tutto è poco", assolutamente incisivo) appesi ad ogni balcone o finestra. Suor Agostina è l'anima di Pozzaglia, ed è in occasioni come questa che ciò emerge in tutta la sua evidenza. Altro momento "forte" è stato, alla Domenica pomeriggio, l'adorazione eucaristica ed il bacio della reliquia. La chiesa gremita di gente, ordinatamente in fila per rendere omaggio alla loro Santa, loro vanto. E' grazie a Suor Agostina che l'esser Pozzagliesi è un onore, cosa di cui andare fieri. Fierezza ed umanità, ed agggiungerei anche familiarità: questi i sentimenti che animano questa gente. Fierezza della gente di montagna, che sa vivere con semplicità e con chiari valori. Che sa dare la giusta importanza alle cose. Che sa che non servono grandi cose per vivere bene, purchè si sia in grazia di Dio. Gente che sa che cosa è la solidarietà: come le casette del paese, strette strette le une alle altre, i Pozzagliesi sanno che, quando si è in pochi, conviene unire le forze. Ed è così che tutti si danno una mano, ed in questo emerge l'umanità del borgo.  Apertura e familiarità, senso dell'ospitalità e dell'accoglienza: io, arrivato a Pozzaglia da perfetto sconosciuto solo pochi mesi fa, guidato forse dal caso ma più propriamente dalla Provvidenza, sono da subito stato accolto come uno in più di quei Pozzagliesi che per necessità hanno dovuto trasferirsi altrove per lavoro. Ma che nei momenti importanti sempre ritornano al nido di origine. Come la nostra Santa Agostina che, trasferitasi a Roma per compiere la missione che il Signore le aveva riservato, è sempre rimasta legata alla sua terra. Per comprendere la sua vita e le sue opere, credo non si possa prescindere dal contesto nel quale è nata e cresciuta: mite e volitiva, al contempo decisa e caritatevole. Quanto di questo carattere sarà stato influenzato da quell'ambiente, duro in quanto povero di risorse, ma così ricco di umanità! Credo che i Pozzagliesi di oggi portino con sè questa felice eredità culturale, dote assai rara ai giorni nostri. E che, in fondo, siano tutti figli di Sant'Agostina: la Santa che, oltre a portare Pozzaglia, sconosciuto borgo della Sabina, agli onori delle cronache, ha lasciato loro in dono quel modo di essere: l'essere Pozzagliesi. Evviva Santa Agostina!

martedì 14 giugno 2011

CLANDESTINO, ESSERE UMANO



Due di Giugno, festa della Repubblica. Potrei passarla tranquillamente a casa, magari chiamando qualche amico a pranzo. Invece mi trovo nell’alto Lazio, nel cuore del Parco Regionale dei Monti Navegna e Cervia, a sgambare con la mia mountain-bike su per salite capaci di scoraggiare i bikers più ardimentosi. A prevenire il rischio-ozio in cui si può facilmente incorrere in un'occasione come questa, sta un’idea che cullo da tempo e che, mese dopo mese, va prendendo forma: un Cammino sulle orme di San Benedetto da Norcia. Un percorso da Norcia a Montecassino per ripercorre idealmente la vicenda umana e spirituale del giovane nursino: prima eremita, poi abate a Subiaco, infine Santo a Montecassino, in quell’abbazia dove la sua Regula, pilastro del monachesimo occidentale, trova compimento. Il Cammino è lungo e va ben preparato; ad uno studio accurato delle carte e delle immagini da satellite segue la parte più importante, la ricognizione sul campo. Recarsi sul posto: per valutare con le proprie gambe le curve altimetriche e per dedicare il giusto tempo a prendere contatti per le accoglienze, raccogliere informazioni e sensibilizzare sul progetto. Affronto le tappe a tre-quattro per volta; poi ricomincia il lavoro di altri mesi per preparare le tappe successive. E così che quel giorno giungo a Castel di Tora, uno dei miei punti-tappa: un delizioso paesino sulle rive del lago del Turano, circondato da uno degli scenari naturali più belli di tutto il Centro Italia. Un bacino artificiale dal colore turchese lungo quattordici chilometri che, se non fosse per le ginestre fiorite, si penserebbe d’essere in Svizzera. Arrivo al borgo sul far della sera, e come sempre non ho nulla di prenotato. Credo che l’essere pellegrino voglia anche dire fidarsi della Provvidenza: difatti, da quando compio pellegrinaggi, un posto per dormire l’ho quasi sempre trovato. In ogni caso mi porto dietro una tendina di due chilogrammi, giusto in caso di necessità. Poco prima del borgo, mentre mi fermo per bere ad una fontana, mi si avvicina un ragazzo scuro di carnagione. “Where are you from?” Io stavo per chiedergli lo stesso: “Di dove sei”? “Bangladesh”, mi risponde. Cerco di spiegargli che sto cercando un agriturismo “Bed & Breakfast…do you know?”. Ma il ragazzo capisce solo breakfast e pensa che io abbia fame. Poco più distante una freccia indica un agriturismo, su per una salita dalla pendenza di tutto rispetto. Ci incamminiamo insieme per la stessa strada. Scambiamo qualche parola, cerco di capire cosa ci faccia lì uno del Bangladesh, ma il ragazzo parla poco l’inglese e non c’è molto il modo di comunicare. Condurre la bici carica per una salita del genere è impresa ardua; ma senza che io gli chieda nulla, comincia ad aiutarmi a spingere. Arriviamo finalmente all’agriturismo. Si presenta: “Masud*”. From Bangladesh, tiene a precisare; ed io mi presento a mia volta. Prima ancora di avere il tempo di capire se esista un proprietario di quel luogo, mi trovo davanti ad un variegato gruppo di ragazzi di varie etnie, sì e no ventenni, impegnati in un’appassionante sfida di pallone. Bangladesh contro il resto del mondo, invero costituito da rappresentanti di Nigeria, Mali e Somalia. Al tre a due per Nigeria & Co. la partita si interrompe e vengono tutti a salutarmi. Si fa avanti un ragazzone di colore, questo per fortuna l’inglese lo parla discretamente: “Benjamin, from Nigeria” E mi chiarisce la situazione: sono in ventiquattro, sbarcati venticinque giorni prima a Lampedusa: in sedici provengono dal Bangladesh; sei, di cui due donne, sono della Nigeria; un ragazzo è del Mali ed un altro è della Somalia. Sbarcati, caricati su un pullman, e portati lì, “in the middle of nowhere”, come dice. Assortiti a caso. Fortunati quelli del Bangladesh, capitati in un bel gruppo di connazionali, così pure il gruppetto di nigeriani. E’ andata peggio al somalo ed al ragazzo del Mali, che non hanno nessuno che parli la loro lingua. I due fanno un po’ coppia a sé, riuscendo fortunatamente a comunicare tra di loro in arabo. Tutti vogliono stringermi la mano, forse per ringraziarmi di essere andato a trovarli. Le camere danno su un bel prato affacciato sul borgo sottostante e, più distante, sulle ultimi propaggini del lago del Turano, la vista è bellissima. Penso di fermarmi lì per la notte e chiedo di poter piantare la tenda; tuttavia non sono sicuro che abbiano capito le mie intenzioni perché non ne ricavo altro che un comune sguardo interdetto. Estraggo allora dalle mie sacche la tendina, e lo spettacolo ha inizio: mi fanno tutti cerchio intorno, ammirati per quella novità. La signora nigeriana è scettica: “You want to sleep inside there?” Sì, ci dormo dentro. E mi chiede di aprirla per vedere come sia fatta all’interno. E’ preoccupata per me: “You have cold”, teme che abbia freddo, e mi invita a fermarmi a dormire con loro per la notte. Ringrazio, dico che ormai l’ho montata e che non avrò freddo, estraendo lo sleeping bag, il sacco a pelo. Le mostro come ci si possa infilare dentro, sollevando l’ilarità generale. La signora non ne è per niente convinta e mi porta una coperta, che accetto per non deluderla. Poi si ritirano tutti nelle casette tranne Asad, il somalo. Mi invita a farmi una doccia dentro la sua casetta e mi presta un paio di ciabatte. L’acqua tiepida mi è particolarmente gradita, dopo un intero pomeriggio di pioggia. Poi estraggo il fornellino e mi metto a cucinare. Il ragazzo insiste perchè entri; lo ringrazio per la cortesia ma non voglio arrecare il minimo disturbo. Allora si ferma a farmi compagnia mentre mi preparo un buon risotto. E mi racconta brevemente la sua vita: ventuno anni, una famiglia sterminata dalla guerra civile; tre tentativi di venire in Italia, la galera, le percosse e violenze d’ogni tipo subite in Libia. Mi mostra le cicatrici, mi viene la pelle d’oca. “I want to live here”, è qui che vuole vivere. Poco più che un bambino approdato nel paese delle favole, giovane ed indifeso com'è, muove a tenerezza. Non gli sembra vero che, da qualche parte nel mondo, esista la pace. Non chiede altro che un lavoro e di fermarsi a vivere in Italia. No documents…nessuno ha i documenti. Rifugiati politici temporanei, in attesa di chiarimento sul loro status. Che è di transizione. Per il momento, esseri umani parcheggiati in mezzo al nowhere, aspettando che succeda qualcosa. How long? Per quanto, domando. Who knows…forse cinque o sei mesi. Torna Benjamin, un passato da boxeur, prima in Nigeria e poi in Libia, portandomi un tè caldo. I suoi successi da peso medio gli hanno permesso di mettere da parte una discreta somma di denaro, che gli è servita per affrontare il viaggio in condizioni meno disumane di quelle in cui si sono trovati i suoi compagni. How much, quanto costa il viaggio per venire dalla Libia in Italia? Chiedo. It depends…dipende dalle possibilità economiche: non meno di due-tremila euro per essere abbastanza sicuro di arrivare. Se paghi meno, rischi la vita su carrette piene all’inverosimile. Il suo sogno è di continuare la carriera di boxeur in Italia, mi chiede che possibilità ci siano. Rispondo che non so. Ad un certo momento, un pensiero lo illumina tutto: “Where is Roma? Da che parte è Roma? Mentre gli indico la direzione della città, estraggo dallo zaino la mia mappa al 200.000. In un istante mi ritrovo ad essere il prestigiatore che, nel momento di massima attenzione degli spettatori, fa comparire il coniglio dal cilindro. Anche gli altri escono dalle casette: vogliono sapere in che parte d’Italia si trovino esattamente. Sanno che Roma non è lontana, qualcuno gliel’avrà detto. Forse alla scuola allestita nel comune dove vanno due ore al giorno per imparare i rudimenti di italiano. Mi chiedono come fare per raggiungerla. I will go to Roma…andrò a Roma a cercarmi un lavoro, esulta un ragazzo del Bangladesh, per poi aggiungere: when i have the document. Senza documenti, non possono andare in giro liberamente, né possono trovarsi un lavoro. Benjamin è impaziente: I will go to Roma on Sunday…vuole andarci subito, non gli importa niente di non avere i documenti. Tanta risolutezza è accolta entusiasticamente dalla sua compagna, quella della coperta, che esulta: Wow! I will see the Papa! Il sogno di una vita, andare a Roma per vedere il papa, finalmente si può realizzare. Faccio loro osservare che ad andare in giro senza documenti si possono passare dei guai seri. Ma chi li tiene più, e come dar loro torto? Confesso che li ho messi sulla strada per realizzare la loro marachella. Che è poco più di quella di un adolescente che bigia la scuola in barba alla mamma. Un calvario di mesi, a volte anni, di tribolazioni, persecuzioni, violenze di ogni genere, scappando chi dalla guerra, chi dalla miseria, chi da entrambe. Odiati in terre straniere ed ostili. Senza poter contare su nessuno, sempre in fuga, sempre clandestini. Un viaggio della speranza con un’idea fissa in testa: l’Europa. Che diventa la terra di tutti i loro sogni; il ripostiglio di tutte le loro speranze. Finendo per identificarla con il più alto desiderio di qualsiasi essere umano: ciò per cui vale la pena combattere, soffrire e morire. Un sogno chiamato Libertà.

Prima di gridare al clandestino, all’invasione nera, all’extracomunitario pericoloso per la società, pensaci bene. E’ un essere umano come te in cerca di quei diritti che tu hai avuto garantiti fin dalla nascita. Prima di lamentarti del Paese in cui vivi e sei nato, pensaci bene. C’è stato chi ha dato la vita anche per te, per garantirti quei diritti che ora ti sembrano scontati. Onorane la memoria e ringrazia Dio per averti dato tutto questo.

Auguro a tutti di poter vivere esperienze come questa.
Appassionatamente,
Simone

(* per tutelare il giusto diritto all’anonimato delle persone che cito, ho deciso di dare loro nomi di fantasia)

giovedì 5 maggio 2011

SAN BENEDETTO DA NORCIA Cenni Biografici

SAN BENEDETTO DA NORCIA Cenni Biografici.


Nel 480, quattro anni dopo che Odoacre, re degli Eruli, aveva deposto Romolo Augustolo, ultimo imperatore di Roma, proclamandosi a sua volta imperatore, nacquero i figli più illustri dell’antica Norcia: Benedetto e Scolastica. Forse fratelli gemelli, ciò che sappiamo della loro vita, lo dobbiamo al papa San Gregorio Magno, che ne traccia una biografia nel suo secondo libro de I Dialoghi, scritto negli anni 593-594 ed unica fonte storica che ci sia pervenuta. In verità, se San Gregorio Magno non ci dice molto di Scolastica, di Benedetto invece traccia una biografia che, malgrado l’evidenza dell’intento edificante più che storiografico, ci permette comunque di ricostruirne la straordinaria vicenda umana. Per quanto riguarda il profilo psicologico di Benedetto, ci basterà leggere quella Regula che egli stesso ci ha lasciato affinché possiamo cogliere nella sua interezza la profondità di questo grande Santo. Come riporta Gregorio Magno, “se qualcuno vuol conoscere a fondo i costumi e la vita del santo, può scoprire nell’insegnamento della regola tutti i documenti del suo magistero, perché quest’uomo di Dio certamente non diede nessun insegnamento, senza averlo prima realizzato lui stesso nella sua vita.” Benedetto trascorse gli anni dell'infanzia e della fanciullezza a Norcia, con ogni probabilità avvertendo l'influsso di coloro che già dal III secolo erano giunti dall'Oriente lungo la valle del Nera e in quella del Campiano. Scampati alle persecuzioni, essi avevano abbracciato una vita di ascesi e di preghiera in diretto contatto con la natura, in "corone" di celle scavate nella roccia facenti capo ad una piccola chiesa comune. Compiuti i primi studi, fu mandato a Roma a perfezionarsi nelle lettere e negli studi giuridici. In quegli anni, al comando di Teodorico re degli Ostrogoti, l’armata imperiale di Bisanzio sembrava aver ristabilito l’antico ordine; tuttavia i fasti della Roma imperiale erano ormai un pallido ricordo, e quello che era stato un faro di civiltà per l’intero mondo antico, aveva ceduto il posto ad una città in balìa della corruzione civile e della decadenza morale. Sconvolto dalla vita dissoluta della città, Benedetto “Aveva appena posto un piede sulla soglia del mondo: lo ritrasse immediatamente indietro..Abbandonò quindi con disprezzo gli studi, abbandonò la casa e i beni paterni e partì, alla ricerca di un abito che lo designasse consacrato al Signore.” Insieme con la sua nutrice, Cirilla, si ritirò nella valle dell'Aniene presso Eufide (l'attuale Affile), dove secondo la leggenda devozionale avrebbe compiuto il primo miracolo riparando un vaglio rotto dalla stessa nutrice. Il miracolo non passò certo inosservato, così che per neutralizzare il proprio orgoglio lasciò la nutrice e si avviò verso la valle di Subiaco, presso gli antichi resti di una villa neroniana là dove le acque del fiume Aniene alimentavano tre laghi. Qui incontrò un monaco, di nome Romano, di un vicino monastero che, vestitolo degli abiti eremitici, gli indicò una grotta impervia del Monte Taleo dov’egli visse da eremita per tre anni, fino alla Pasqua dell'anno 500. Conclusa l'esperienza eremitica, accettò di fare da guida ad altri monaci in un ritiro cenobitico presso Vicovaro, ma, dopo che alcuni monaci tentarono di ucciderlo con una coppa di vino avvelenato, tornò a Subiaco. Qui rimase per quasi trenta anni, predicando la Parola del Signore ed accogliendo discepoli sempre più numerosi, fino a creare una vasta comunità di tredici monasteri, ognuno con dodici monaci ed un proprio abate, tutti sotto la sua guida spirituale. Questo lungo periodo della sua vita fu costellato di miracoli, a tal punto che la sua fama giunse fino a Roma, e romani furono due tra i suoi primi discepoli: i nobili giovinetti Mauro e Placido. Tanta fama suscito l’invidia di un prete, Fiorenzo, che tentò per due volte di ucciderlo: la prima volta materialmente, portandogli in dono un pane avvelenato, e la seconda volta tentando di corrompere moralmente i suoi monaci chiamando delle prostitute. Così, per salvare i propri monaci, tra il 525 e il 529 Benedetto abbandonò Subiaco e si diresse assieme ad alcuni discepoli verso Montecassino. Lassù, dove sorgeva un tempio dedicato ad Apollo ed ancora vi si praticavano riti pagani, eresse un oratorio in onore di san Martino di Tours ed una cappella dedicata a San Giovanni Battista. Nel monastero di Montecassino Benedetto compose la sua Regola verso il 540. Prendendo spunto da regole precedenti, in particolare quelle di san Giovanni Cassiano e san Basilio, ma anche San Pacomio, San Cesario e l'Anonimo della Regula Magistri, egli combinò l'insistenza sulla buona disciplina con il rispetto per la personalità umana e le capacità individuali, nell'intenzione di fondare una scuola del servizio del Signore. La Regola, sintesi del Vangelo, nella quale si organizza nei minimi particolari la vita dei monaci all'interno di una "corale" celebrazione dell'uffizio, diede nuova ed autorevole sistemazione alla complessa, ma spesso vaga e imprecisa, precettistica monastica precedente. I due cardini della vita comunitaria sono il concetto di stabilitas loci (l'obbligo di risiedere per tutta la vita nello stesso monastero contro il vagabondaggio allora piuttosto diffuso dei monaci) e la conversatio, cioè la buona condotta morale, la pietà reciproca e l'obbedienza all'abate (da abbà, Padre), il "padre amoroso", mai chiamato superiore, cardine di una famiglia ben ordinata che scandisce il tempo nelle varie occupazioni della giornata durante la quale la preghiera, la lettura e il lavoro si alternano secondo ritmi ben precisi. A Montecassino Benedetto visse fino alla morte, ricevendo l'omaggio dei fedeli in pellegrinaggio e di alcune personalità come Totila re degli Ostrogoti, che il monaco ammonì, e l'abate Servando. Qui morì il 21 marzo 547, quaranta giorni circa dopo la scomparsa di sua sorella Scolastica con la quale ebbe comune sepoltura; secondo la leggenda devozionale spirò in piedi, sostenuto dai suoi discepoli, dopo aver ricevuto la comunione e con le braccia sollevate in preghiera, mentre li benediceva e li incoraggiava. Le diverse comunità benedettine ricordano la ricorrenza della morte del loro fondatore il 21 Marzo, mentre la Chiesa romana ne celebra ufficialmente la festa l'11 Luglio. Nel 1964 papa Paolo VI ha proclamato san Benedetto da Norcia patrono d'Europa.